L’idea di questa gita parte da lontano, da quando vidi sul libro “Scialpinismo quota 4000” una foto dello Zinalrothorn e in particolare del Balcone di Moming; subito rimasi attirato da quel corridoio sospeso tra il cielo e gli abissi delle seraccate, ma con delusione scoprii subito che l’itinerario descritto nella guida non lo menzionava, riducendo la salita della spalla a quota 4017 ad una “banale” andata e ritorno per la via del rifugio del Grand Mountet. Però il libro assolse perfettamente ai suoi compiti di suscitare curiosità e voglia di ricerca. Infatti ho sempre sostenuto che le guide di montagna e di scialpinismo in particolare, con le loro belle foto, hanno per me non solo lo scopo di farmi conoscere itinerari ma anche di offrirmi spunti per itinerari possibili che non sono descritti nella guida stessa. Ma allora internet, gulliver, C2C erano ancora nel mondo dei sogni degli web-scialpinisti e così la mia curiosità dovette aspettare un bel po’ prima di essere soddisfatta.
Finalmente, qualche anno fa trovai una relazione su C2C che citava la traversata e ovviamente la descrizione del tratto chiave esercitò su di me un’attrazione a cui diventava sempre più difficile sottrarsi. La riporto nella lingua originale, il Francese :
« Descendre la banquette glaciaire vers le N, en évitant une première grosse crevasse par la gauche,
puis en revenant plutôt à droite.
Sous le col de Moming à 3600m arrive le crux : un chaos de séracs monstrueux.
Descendre tout droit dans le creux de la combe en slalomant entre les crevasses: passages à
40/45° très étroits et horriblement exposés; magnifique et direct mais impraticable pour les
âmes sensibles et ceux qui ne maitrisent pas parfaitement le 45°. La cotation passe à D+/TD.”
Ma, come succede spesso, certi sogni sembrano destinati a rimanere in fondo al famoso cassetto designato a contenerli, e così il tempo passava e io continuavo a guardare la foto del libro e a consultare C2C per vedere se qualche altro temerario aveva postato una nuova relazione, ma l’ultima data era il 2006, segno che l’intersezione tra chi faceva quell’itinerario e contemporaneamente frequentava il web non era poi una comunità così numerosa....
Poi, invecchiando, la ns scuola è arrivata a compiere i fatidici 50 anni e allora dalla mia mente malata J è nata l’idea di organizzare la salita di tutti i 4000 scialpinistici delle alpi per festeggiare degnamente il ½ secolo di vita.
Ovviamente quando ci siamo suddivisi gli itinerari mi è venuto naturale appiopparmi lo Zinalrothorn, e devo dire che non c’era la coda per partecipare. Sarà stato perchè non è una cima famosissima tra gli alpinisti, figuriamoci tra chi tendenzialmente fa solo scialpinismo, sarà perchè è un po’ nascosta e cotretta tra giganti come il Weisshorn o la Dent Blanche, insomma molti non sapevano neanche dove fosse, questo benedetto Zinalrothorn.
Finalmente il 4-5 maggio le condizioni nivo-meteorologiche sembravano buone per cui decidiamo di partire; siamo io , Davide, Giorgio e Vittorio. Io ero già stato 9 anni fa alla Cabane du Mountet con Francesco e Domenico per salire la N dell’Obergabellhorn , fallita per le cattive condizioni, e mi ricodavo che la salita al rifugio era lunga. Ma il tempo, si sa, attenua i ricordi e solo quando siamo arrivati a Zinal abbiamo capito, o ricordato, quanto lungo sarebbe stato l’avvicinamento.
Il rifugio è affollatissimo, ben 8 persone!!, compresi i due gestori e una coppia di scialpinisti svizzeri. Facciamo una golosa merenda a base di birra e omlette e poi ci concediamo un meritato pisolino prima di cena. Prima di andare a dormire chiediamo qualche informazione a Nicolas, il gestore, che ci dice che la discesa dovrebbe essere in buone condizioni, anche se quest’anno è stata fatto solo da due guide con un cliente ( doveva essere ben importante, questo cliente, per avere due guide al seguito...) e che hanno dovuto fare una doppia per superare i seracchi.con questa interessante informazione, e dopo aver ammirato un fantastico tramonto,ce ne andiamo a dormire....Zzzzzzzzzzzzzzzzzz
La salita si svolge senza problemi, bei pendii ripidii e il ghiacciaio perfettamente chiuso ci portano abbastanza rapidamente ai 3750 m dell’inizio della cresta finale. Nonostante il gestore ci avesse consigliato di salire per il pendio a dx della cresta, in neve, noi decidiamo per la cresta perchè ci sembra buona e poi perchè decisamente più estetica. Tutto procede bene, la noia della salita su cresta di è interrotta da una divagazione sul fianco destro,tra infide placche lisce coperte da un sottile strato di neve, tanto per aggiungere un po’ di pepe alla salita.
Alle 9 circa siamo in vetta, una moltitudine di 4000 si stagliano di fronte a noi, primo fra tutti sua Maestà il Cervino, che fa bella mostra di se con la sua parete N; e l'Obergabellhorn, un lenzuolo di neve e ghiaccio dalle linee perfette, e poi la dent d’Herens, ancora con il suo versante N che in un libro viene descritto come l’enorme squama di un estinto animale preistorico, Infine la dent Blanche, che sembra in condizioni perfette, e già inizio a sognare... Ma è tempo di scendere, in discesa non ci sarà di certo il tempo per sognare, dovremo invece tenere la mente ben concentrata sulla ricerca del percorso migliore.
Scendiamo giù per un facile speroncino di roccette e poi, all aprima neve. Calziamo gli sci; dopo pochi metri, sotto il sottile strato di neve fresca le lamine si trovano a mordere dell’infido ghiaccio nero. Per fortuna il tratto è breve anche se ripido e, con tecniche diverse, inclusas l'innovativa "scivolata d'anca controllata", riusciamo facilmente a portarci sul pianoro sottostante.
Ancora una breve soste per mangiare qualcosa e poi via giù per quello che si potrebbe definire uno slalom super –super gigante tra crepacci e seracchi enormi. Pendii ripidi il giusto, neve che più bella non si può, un po di trilling per superare derapando un ponte di neve a 45° sospeso su un crepaccio che sembra aspettarci con le sue fauci aperte e finalmente arriviamo al fatidico punto descritto dalla relazione francese.
Ora dobbiamo scegliere quale dei due itinerari seguire,
quello diretto in mezzo al caos di crepacci e seracchi o tutto a dx, più facile ma comprendente un lungo traverso su pendii ripidi e non completamente scaricati... alla fine esplora di quì esplora di là finiamo all’imbocco di un largo crepaccio disposto nel senso di marcia e coperto di neve, a parte due orribili buchi neri di cui non si vede il fondo. Sembra che il crepaccio, al suo termine, si apra su un bel pendio, fuori dalle difficoltà. Decidiamo di provare questa terza via e così mi faccio calare, sci ai piedi,
dentro il crepaccio fino a che sbuco dall’altra parte.
La ns intuizione era corretta: un bellissimo pendio largo ci porterà fuori dalla seraccata senza problemi. Mentre si cala anche Giorgio preparo l’ancoraggio per Assicurare Davide che sarà l’ultimo a scendere. Tutto procede bene e pochi minuti dopo siamo ad osservare dal basso l’immensa seraccata che abbiamo appaena superato.
Da qui fino al ponte a quota 1900 saranno ancora 1500 metri di discesa indimenticabile su pendii sostenuti e su una neve primaverile da antologia. L’unico problema è la scelta dell’itinerario, ma non perhè ne è difficile l’individuazione, bensì perchè non sappiamo quale sia il più bel valloncello, dosso o pendio tra quelli che continuamente si aprono sotto di noi.
Quando ci leviamo gli sci, sulla stradina che ci riconduce in fondo valle al parcheggio, non ho ancora ripescato, tra i miei ricordi, una discesa più bella di questa; di certo qualcuno dirà che sarà la mia memoria che fa cilecca ma io non credo....
Tutti gli ingredienti di un Tittamassi 4000. Con tanta invidia vi faccio i miei complimenti :)
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