*** PAGINA IN FASE DI ALLESTIMENTO ***

Nelle pagine sotto sono raggruppate le mete con i relativi itinerari.
La prima pagina riporta l'elenco delle cime con date previste e tra [ ] le date effettive in cui vengono smarcate!!!

giovedì 5 settembre 2013

 Grandes Jorasses

Cresta des Hirondelles

22/08/2013


Sono trascorse due settimane da quando ho salito la punta Dufour e, per una serie di coincidenze fortuite, riesco a liberarmi nuovamente per altri due giorni. Sul Monterosa mi sentivo in gran forma e volevo concludere la stagione estiva con qualcosa di grande. Facendo il solito giro di telefonate per cercare il compagno di gita mi risponde Davide B.,sempre pronto. Dopo aver sfogliato in lungo e in largo il libro dei 4000, attira la mia attenzione la cresta Albertini sulla Dent d'Herens, ma non riesco a trovare relazioni e, soprattutto, la discesa è veremente lunga, considerando il fatto che si arriva
alla diga di Place Moulin avendo lasciato la macchina a Cervinia. Non mi sembra proprio una gita di due giorni, così abbandono l'idea.
Continuando a sfogliare il libro ormai consumato, arrivo alle Grandes Jorasses e propongo la salita a Davide, che accetta di buon grado; così si parte!
Con la solita preparazione degli zaini su un bel prato della val Ferret,ci avviamo veso il bivacco Gervasutti; dopo tre ore di cammino, arriviamo a questo mitico bivacco che da circa due anni vedo in prima pagina su tutte le riviste di montagna. Il bivacco è fantastico: la sua forma, la tecnologia di cui dispone con computer con wi fi, piastre elettriche, luci a led,...e, soprattutto, la vetrata che si affaccia a sbalzo sulla valle.






Prima che venga sera guardiamo il percorso che dovremo seguire sul ghiacciaio per arrivare al colle des Hirondelles, dove parte la nostra via; non sembra complicato, ci sono solo dei grossi buchi da aggirare, ma essendoci la luna piena, non ce ne preoccupiamo e ci infiliamo sotto le coperte. In realtà, una volta partiti, scopriamo che i buchi sono immensi e difficili da passare; grazie a un bel ponte di neve affilato riusciamo a passarne uno, mentre per un altro dobbiamo addirittura fare un tiro di corda con uscita in piolet tracion.


Arrivati  al colle inizia ad albeggiare e intorno a noi si illuminano montagne stupende dalla Verte fino all'Emilius; se non fosse che "è gia tardi" (sono le sei spaccate) me lo godrei sicuramente di più.


                                                                                                   
La via appare subito di alta montagna, nel senso che, tra diedri e crestine tutte similil, le possibilità di salita sono molte e gli ancoraggi dei passaggi precedenti sono ben pochi, quindi per procedere serve molto il "fiuto " dell'alpinista; fortunatamente riusciamo a individuare la via alternando tratti facili con rocce rotte, a belle placconate con lame dove proteggersi con friends e nuts.

Arrivati ad un terzo della via, giungiamo all'intaglio dove ci aspetta la mitica "fessura Rey", tiro più

difficile della via; cerco di salire in velocità per non spomparmi le braccia, moschettono qualche chiodo arrugginito, un nut incastrato e aggiungo due dadi dei miei, così, con uno stile inguardabile, riesco a mettere piede sul terrazzino della sosta. La via prosegue su diedri e placchette molto belle ancora per qualche tiro, fino ad incontrare un pendio di ghiaccio dove ci "ramponiamo".



Mancano ancora 200 mt alla vetta, l'ora è già tarda e noi iniziamo a essere un pò stanchi, ma pian piano che saliamo si intuisce che la cresta che stavamo seguendo inizia ad abbattersi e in poco tempo arriviamo sulla cornice di vetta della punta Walker. La soddisfazione è immensa, una storica via su una gran montagna è stata salita.








Come alcuni di voi sanno, finchè non sono dalla macchina, non quieto mai (forse qualche gene di famiglia lasciato in eredità), così dopo un quarto d'ora mi avvio verso la discesa; la prima ora la passiamo a scendere una specie di traccia su una pietraia inclinata a 30°, poi traversiamo sotto il seracco sommitale e infine arriviamo alla base dei rochers Whymper. Scendiamo ancora con tre doppie da 50 metri e traversiamo a sinistra per arrivare al famoso reposoir. Ci divertiamo ancora un altra ora su un ravanaio senza uguali, poi altre due doppie e arriviamo finalmente sul ghiacciaio da dove in mezz'ora arriviamo al rifugio Boccalatte.          
                                            
Non conoscendo la discesa, avevo chiesto informazioni a mio papà, che si ricordava una discesa su ghiacciaio senza grosse difficoltà, escluso il passaggio dai rochers Whymper; probabilmente dal 1985 ad oggi lo scioglimento dei ghiacciai è stato notevole, perchè noi abbiamo toccato quasi più roccia che neve.
Al rifugio sono ormai le 17.30, ma il peggio è passato e, grazie ad un "comodo" sentiero che mi ha fatto diventare entrambe le unghie degli alluci neri, arriviamo  dalla macchina all'imbrunire, stanchi ma contenti di avere concluso una stagione coi fiocchi.

                                            Andrea Fasciolo

martedì 3 settembre 2013

Punta Dufour -Cresta Rey    
11/8/2013


E' tutta la stagione che io e mio papà vorremmo fare una bella gita insieme , ma per motivi di lavoro,di figli o di tempo,non siamo ancora riusciti a organizzare niente di serio se non qualche gita scialpinistica.Finalmente ad agosto io sono libero e incredibilmente il tempo è bellissimo così decidiamo di approfittarne. La meta decisa è molto alta, noi non andiamo in quota da un bel pò e la via scelta non è certo una camminata comunque siamo ottimisti e motivati.
Partiamo sabato mattina alla volta di Gressoney e ci dirigiamo agli ovetti; vogliamo salire subito al passo dei Salati e acclimatarci una buona mezz'ora stando seduti su una panchina.Dopo appena cinque minuti mio papà è già in piedi e si incammina verso il ghiacciaio,non mi resta che seguirlo. 
In un'ora arriviamo alla capanna Gnifetti e proseguiamo verso il Balmenhorn dove vogliamo passare la notte.Durante la salita al bivacco sembra di essere in Corso Italia, si vedono persone su tutte le cime intorno, qualcuno sale, qualcuno scende, per non parlare dei modi e in quanti sono legati.


Arrivati al bivacco ci aspetta una bella sorpresa;almeno quindici persone sono già dentro al bivacco a contendersi i sei posti liberi e ancora una decina di persone arriveranno dopo di noi. Ecco che ci risiamo. Già anni fa, sempre noi due, con Andrea Lebboroni abbiamo dovuto affrontare una notte del genere e, sapendo come andrà a finire, mi occupo il corridoio di entrata di fianco alla porta del cesso; non sarà il massimo ma almeno abbiamo un angolino nostro dove accendere il fornellino e riposare quelle poche ore.Di sicuro non avremo freddo.






Alle 3.30 di notte mio papà si alza, una veloce colazione e alle 4 siamo in marcia. Raggiungiamo in pochi minuti il colle del Lys e continuiamo verso l'attacco della cresta. Tanto per cambiare siamo i primi ad arrivare in zona così ci tocca battere traccia al buio in mezzo ai crepi. 

Con la prime luci arriviamo all'attacco della cresta,le condizioni non sono male così decidiamo di proseguire di conserva ad una distanza di circa 20 metri assicurandoci con protezioni veloci e dei buoni cordoni.La via non ci da nessun problema e alle nove siamo in vetta a goderci il panorama,mangiare un boccone e fare la foto di rito.

Il tempo è sempre bellissimo ma sappiamo che la discesa è lunga e si è alzato un forte vento da ovest, ideale per quel tipo di creste.Un pò arrampicando e con qualche piccola doppia "risolutrice" arriviamo al colle superando addirittura qualche cordata;il vento è ormai aumentato molto e non è proprio l'ideale affrontare la cresta della Zumstein così mi tocca affrontare le  roccette finali battendo una nuova traccia.


Da qui in poi sarebbe una splendida discesa in sci su neve trasformata ma, non avendoli, dobbiamo rassegnarci a due ore di camminata fino alla funivia.
Un'altra candelina spenta per i 50 anni della scuola e per tutti i 4000 del "Rosa" raggiunti da mio papà.


                                          Andrea Fasciolo

domenica 12 maggio 2013

[12/05/2013] Rimpfischorn e Strahlhorn: dalla tenda con furore


Dopo vari posticipi e complicazioni organizzative, decidiamo di partire Venerdì 10 maggio, con previsioni meteo che lasciano ben sperare almeno per il Sabato successivo.
Ci ritroviamo a Pegli sotto un cielo minaccioso (!!!), e partiamo alla volta di Saas Fee. Qualche goccia qua e là, uno sprazzo di deciso sereno a Domodossola poi più coperto a Saas Fee.
Visti gli zaini particolarmente “ponderosi”, ci affidiamo all’unica corsa disponibile della funivia per il Felskinn (ore 16:30) che ci proietta - in pieno inverno, sotto una fitta nevicata e con scarsissima visibilità - a quota 2900.
Fortunatamente da lì alla Britannia il percorso è tracciatissimo e quindi in circa 1 ora giungiamo al rifugio nelle cui immediate vicinanze, viste le condizioni meteo, decidiamo di piantare le tende. Per scrupolo chiediamo il permesso al gestore, certi di fare una domanda retorica, ma … non abbiamo fatto i conti con la “retorica” Svizzera: pare sia obbligatorio mettere le tende ad almeno 500 metri dalla struttura,  “..c’est le réglement, messieurs”, e non vi sono eccezioni possibili!
Dopo un breve momento di scoramento decidiamo quindi di scendere verso il ghiacciaio, dove avevamo in programma di accamparci prima di essere colti dal maltempo.
Cercando di orizzontarci nella nebbia troviamo un “promontorio morenico” che sembra sicuro, circa 100 metri di dislivello sotto il rifugio. Ci “spianiamo” l’accampamento a forza di scarponi e pala e “hic manebimus optime”: oltre non sarebbe stato possibile vista la nevicata, la fitta nebbia e l’ora.

Organizzato il campo, fuoco ai fornelli e meritato riposo. Durante la notte cerchiamo di difenderci al meglio, senza un completo successo, dal freddo e dalle continue raffiche di neve.
Alle 4:00 suona la sveglia. Il cielo è stellato pertanto, dopo una frugale colazione, ci mettiamo in marcia verso il ghiacciaio dell’Allalin.
Dopo circa un’ora di marcia il bel tempo ci mostra le nostre mete in “gran spolvero” ...
E intanto, alle nostre spalle qualcuno ci sprona …

Dopo più di un'ora, a quota 3250,  prima sosta.
Il gruppo si divide: Matteo, Lorenzo e Barbara prendono  a sinistra, alla volta dello Strahlhorn mentre Giorgio, Manuela e Stefano si dirigono verso il Rimpfischhorn. 


Il Rimpfischhorn

Giunti all'Allalinpass, ci accoglie un paesaggio straordinario, complice la fantastica luce che ci regala la finestra di bel tempo.

Dopo una breve sosta ripartiamo verso l'ultimo lungo tratto: superiamo due bastionate rocciose, con un lungo traverso e perdendo un po’ di quota ed un ultimo pendio un po’ più ripido ci conduce alla spalla a quota 4009.
A quel punto, terminata la parte scialpinistica, rimane "solo" da risalire e percorrere la cresta per raggiungere la vetta ma sofferte considerazioni di ordine pratico ci spingono a scegliere di non proseguire. 
La foto di rito viene fatta, quindi, al cospetto del gruppo del Rosa, sullo Rimpfischattel battezzato per l’occasione “vetta scialpinistica” del Rimpfischhorn.

A seguire bella discesa dalla spalla, breve risalita all'Allalinpass e di nuovo la discesa verso le tende, con neve per lo più ottima su tutto i percorso.

Arrivati alle tende in una fitta nebbia, veniamo raggiunti poco dopo dal resto del gruppo.


Lo Strahlhorn

Dalla quota 3250, presso un ciclopico monolite da Odissea nello Spazio inizia la lunga salita verso l’Adlerpass su ampi pendii mai ripidi. Si guadagna quota piuttosto lentamente ma con costanza. 
Un po’ infastiditi dal vento che chiude quasi subito le tracce, arriviamo qualche decina di metri sotto il valico dove alcuni francesi sono affaccendati nella ricerca, pare non semplice, del passaggio verso la lontana Monterosahutte. 
Con due/tre diagonali passiamo sotto alcuni seracchi suggestivi e non molto minacciosi. Più avanti ci accoglie un lungo piano inclinato che risaliamo con passo non certo da bersagliere ma costante. 

Un po’ sgranati arriviamo a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla cima, pronti per la rampa finale e l’ultimo brevissimo tratto, percorso a piedi, fino alla croce di vetta. 
Eccezionale la vista sulla Est del Rosa e sui 4000 della zona Cervino-Rosa-Sempione.
Foto di rito e giù per neve a dir poco splendida, polvere su fondo ben compattato fino a 3200, poi su neve primaverile (nella nebbia) che ci accompagna fino alle tende dove troviamo i compagni di gita.

Smontiamo il campo ed affrontiamo l’ultima fatica: la risalita al Britannia e i “comodi” traversi fino all’Egginerjoch da dove la pista ci riporta alla stazione a monte della funivia per il ritorno a valle. 
La nostra due giorni in sintesi: ottima compagnia, tempo bello e scenario meraviglioso durante le salite e … qualche difficoltà meteo/logistica a mettere il giusto pepe sul tutto!

partecipanti:
Barbara Bonfadini (Strahlhorn)
Lorenzo Ghiggini (Strahlhorn)
Matteo Graziani (Strahlhorn)
Giorgio Maddalena (Rimpfischhorn)
Manuela Pecorini (Rimpfischhorn)
Stefano Carroggio (Rimpfischhorn)

by Giorgio Maddalena

domenica 5 maggio 2013

[05/05/13 - Weissmies] Il Grande Fardello


Il reality del corso SA2 si è concluso al Weissmies. Impegni di lavoro, ferie programmate, sfighe assortite hanno ridotto all'osso il gruppo degli allievi. A ogni uscita perdevamo un pezzo, tanto da farci sospettare che solo uno sarebbe arrivato in vetta (e alzi la mano chi non si è toccato…). Dei 10 allievi iniziali, solo 3 hanno avuto la fortuna di partecipare a questa bella gitona finale capitanata da Giangi.
Oltre a noi sottoposti, sono presenti 5 istruttori (con un rapporto istruttori-allievi eccezionale!) e 3 aggregati nell'ambito delle celebrazioni del cinquantennale della scuola.
Insomma, il gruppo è eterogeneo, ma omogeneamente disposto a soffrire. Il percorso  infatti si presenta severo.
Il primo giorno, carichi di materiale da bivacco e di materiale alpinistico, si salgono 1400 metri, da Zwischbergen al pianoro che si trova sotto la parete nord del Pizzo d'Andolla. 
Una prima ora di portage fino ad un laghetto artificiale è seguita da un pianoro cocente, seguono una rampetta e un secondo pianoro (invaso da un'immensa valanga) e, finalmente, dopo km e km di sviluppo suborizzontale, la rampona finale di circa 600 metri di dislivello.
Il cielo a tratti coperto di nuvole e la presenza di parecchi ruscelli facilmente accessibili rendono la salita un po' meno faticosa. Dopo 6 ore e mezzo arriviamo alla meta di giornata e installiamo il campo. Noi allievi, sfatti, ci fiondiamo in tenda nel tentativo di organizzare la cena. 

Giocare d'anticipo non ci basta, anche nella logistica siamo di una lentezza esasperante e infatti l'indomani usciremo dalle tende quando ormai la maggior parte delle lucine saranno sul pendio di salita. Ma, bene o male mangiamo, beviamo e dormiamo.
Secondo giorno, la partenza è fissata alle 4.30 "sci ai piedi". Per noi saranno quasi le 5, come detto. Una cosa che ho imparato è che l'acqua per il giorno successivo bisogna scioglierla la sera prima. La seconda è che la colazione si fa salendo, mangiucchiando nelle varie soste. La salita, sotto uno spicchio di luna, è suggestiva e piacevole. Il fresco e lo zaino più che dimezzato ci fanno salire a buon ritmo (tutto è relativo…). 

Raggiungiamo il ghiacciaio poco sotto lo Zwischbergenpass con un’alba radiosa che illumina il Pizzo d’Andolla.  Dopo un breve spuntino proseguiamo su un pendio abbastanza ripido con neve perfettamente rigelata. Montiamo i rampant. L’altitudine comincia a farsi sentire e arriviamo alla fine della parte sciistica, a quota 3700 metri, verso le 9. Il tempo è ottimo anche se in lontananza, verso la pianura lombarda, si vedono nuvole.
Giangi e Davide si dirigono verso la cresta sud, il resto del gruppo attacca un canalino nevoso sul versante sud est. La terza cosa che ho imparato è che in salita nei canalini ci si fa un mazzo tanto. 
Poco dopo le 10 siamo a quota 3900 e Andrea comunica che rinunceremo alla vetta una volta giunti all'anticima, causa meteo in peggioramento e ora ormai tarda. Già che ero cotto, mi faccio prendere dallo scoramento (e da un po' di strizza) e mi fermo con l'intenzione di non raggiungere neanche l'anticima.
Seduto su un sasso, rimugino. Un minimo di orgoglio e un pezzo di cioccolata mi spingono su per gli ultimi 50 metri, almeno fino all'anticima (quota 3930) da dove, se non altro, si vede la vera vetta, obiettivamente ancora lontana, non tanto in dislivello (meno di 100 metri) quanto per lo sviluppo della cresta.
La discesa, che a priori mi preoccupava più della salita, scorre via liscia. Alla base rimettiamo gli sci e ci godiamo quasi 1000 magnifici metri di dislivello di neve primaverile, raggiungendo il campo velocemente.
Un'oretta di pausa per rifare gli zaini e poi giù sulle dune. Sì, perchè la sciroccata dei giorni scorsi è arrivata fin qui e si scia che sembra di essere sull'Atlante (per lo meno, come me lo immagino io). Si scende su neve decente per altri 300 metri, fino al primo ruscello. Qua recuperiamo liquidi, con Paolo facente funzione di barman. Un tratto poco piacevole di neve sfondosa precede l'atraversamento della valanga e i temuti pianori, che si rivelano meno piani del previsto, costringendoci solo a brevissime risalite e pochi tratti a spinta. Giunti al laghetto non ci rimane che scendere sulla riva sinistra della valle, lungo uno sterrato invaso da parecchie grosse slavine. Su una di queste sciamo gli ultimi 100 metri di dislivello in discesa, su neve inaspettatamente piacevole.
10 minuti di portage ci riconsegnano alle auto e all'agognata merenda, con grande soddisfazione per tutti, brindisi e un po' di rammarico per i soci di corso assenti.
Chiudo con un grandissimo ringraziamento agli istruttori che si sono alternati nelle varie uscite del SA2 e al direttore Giulio che ci ha fatto da chioccia per 2 anni consecutivi.

Partecipanti:

Giangi Fasciolo
Andrea Fasciolo
Francesco Repetto
Paolo Baldo
Giovanni Degregori
Davide Lanza
Roberto Schenone
Gianluca Esposito
Raffaele Pallavicino
Michele Cuneo
Paolo Romano


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by Roberto Schenone

Spalla dello Zinalrothorn: traversata Mountet - Moming

L’idea di questa gita parte da lontano, da quando vidi sul libro “Scialpinismo quota 4000” una foto dello Zinalrothorn e in particolare del Balcone di Moming; subito rimasi attirato da quel corridoio sospeso tra il cielo e gli abissi delle seraccate, ma con delusione scoprii subito che l’itinerario descritto nella guida non lo menzionava, riducendo la salita della spalla a quota 4017 ad una “banale” andata e ritorno per la via del rifugio del Grand Mountet. Però  il libro assolse perfettamente ai suoi compiti di suscitare curiosità e voglia di ricerca. Infatti ho sempre sostenuto che le guide di montagna e di scialpinismo in particolare, con le loro belle foto, hanno per me non solo lo scopo di farmi conoscere itinerari ma anche di offrirmi spunti per itinerari possibili che non sono descritti nella guida stessa. Ma allora internet, gulliver, C2C erano ancora nel mondo dei sogni degli  web-scialpinisti e così la mia curiosità dovette aspettare un bel po’ prima di essere soddisfatta.
Finalmente, qualche anno fa trovai una relazione su C2C che citava la traversata e ovviamente la descrizione del tratto chiave esercitò su di me un’attrazione a cui diventava sempre più difficile sottrarsi. La riporto  nella lingua originale, il Francese :
« Descendre la banquette glaciaire vers le N, en évitant une première grosse crevasse par la gauche,
puis en revenant plutôt à droite. 

Sous le col de Moming à 3600m arrive le crux : un chaos de séracs monstrueux.     
      Descendre tout droit dans le creux de la combe en slalomant entre les crevasses: passages à 
     40/45° très étroits et horriblement exposés; magnifique et direct mais impraticable pour les
     âmes sensibles et ceux qui ne maitrisent pas parfaitement le 45°. La cotation passe à D+/TD.”

Ma, come succede spesso, certi sogni sembrano destinati a rimanere in fondo al famoso cassetto designato a contenerli, e così il tempo passava e io continuavo a guardare la foto del libro e a consultare C2C per vedere se qualche altro temerario aveva postato una nuova relazione, ma l’ultima data era il 2006, segno che l’intersezione tra  chi faceva quell’itinerario e contemporaneamente frequentava il web non era poi una comunità così numerosa....
Poi, invecchiando, la ns scuola è arrivata a compiere i fatidici 50 anni e allora dalla mia mente malata J è nata l’idea di organizzare la salita di  tutti i 4000 scialpinistici delle alpi per festeggiare degnamente il ½ secolo di vita.
Ovviamente quando  ci siamo suddivisi gli itinerari mi è venuto naturale appiopparmi lo Zinalrothorn, e devo dire che non c’era la coda per partecipare. Sarà stato perchè non è una cima famosissima tra gli alpinisti, figuriamoci tra chi tendenzialmente fa solo scialpinismo, sarà perchè è un po’ nascosta e cotretta tra giganti come il Weisshorn o la Dent Blanche, insomma molti non sapevano neanche dove fosse, questo benedetto Zinalrothorn.
Finalmente il 4-5 maggio le condizioni nivo-meteorologiche sembravano buone per cui decidiamo di partire; siamo io , Davide, Giorgio e Vittorio. Io ero già stato 9 anni fa alla Cabane du Mountet con Francesco e Domenico per salire la N dell’Obergabellhorn , fallita per le cattive condizioni, e mi ricodavo che la salita al rifugio era lunga. Ma il tempo, si sa, attenua i ricordi e solo quando siamo arrivati a Zinal abbiamo capito, o ricordato,  quanto lungo sarebbe stato l’avvicinamento.
 Davanti a noi 2 km perfettamente in piano e poi l’inizio di una leggera salita prima di arrivare all’inizio del ghiacciaio, nuovamente pianeggiante. Insomma alla fine saranno oltre 10 km per 1200 m di dislivello, per fortuna in una cornice fantastica: man mano che saliamo si svelano davanti , e soprattutto sopra, a noi il Gran Cornier, la dent Blanche, l’Obergabellhorn e, finalmente quando siamo ormai quasi al rifugio anche l’agognato Zinalrothorn.

Il rifugio è affollatissimo, ben 8 persone!!, compresi  i due gestori e una coppia di scialpinisti svizzeri. Facciamo una golosa merenda a base di birra e omlette e poi ci concediamo un meritato pisolino prima di cena. Prima di andare a dormire chiediamo qualche informazione a Nicolas, il gestore, che ci dice che la discesa dovrebbe essere in buone condizioni, anche se quest’anno è stata fatto solo da due guide con un cliente ( doveva essere ben importante, questo cliente, per avere due guide al seguito...) e che hanno dovuto fare una doppia per superare i seracchi.con questa interessante informazione, e dopo aver ammirato un fantastico tramonto,ce ne andiamo a dormire....Zzzzzzzzzzzzzzzzzz



























Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin, all mattino sveglila alle 4, cielo stellato e non troppo freddo; Vittorio rinuncia causa malessere generale e soprattutto stanchezza ( scopriremo solo più tardi che il fine settimana prima aveva fatto la sua “Vittoriata”, una gara di corsa in cui si era spremuto al massimo e dalla quale non aveva recuperato ), così partiamo solo in 3 alla luce delle frontali.


 La salita si svolge senza problemi, bei pendii ripidii e il ghiacciaio perfettamente chiuso ci portano abbastanza rapidamente ai 3750 m dell’inizio della cresta finale.Nonostante il gestore ci avesse consigliato di salire per il pendio a dx della cresta, in neve, noi decidiamo per la cresta perchè ci sembra buona e poi perchè decisamente più estetica. Tutto procede bene, la noia della salita su cresta di è interrotta da  una divagazione sul fianco destro,tra infide placche lisce coperte da un sottile strato di neve, tanto per aggiungere un po’ di pepe alla salita.



























Alle 9 circa siamo in vetta, una moltitudine di 4000 si stagliano di fronte a noi, primo fra tutti sua Maestà il Cervino, che fa bella mostra di se con la sua parete N; e l'Obergabellhorn, un lenzuolo di neve e ghiaccio dalle linee perfette, e poi la dent d’Herens, ancora con il suo versante N che in un libro viene descritto come l’enorme squama di un estinto animale preistorico, Infine la dent Blanche, che sembra in condizioni perfette, e già inizio a sognare... Ma è tempo di scendere, in discesa non ci sarà di certo il tempo per sognare, dovremo invece tenere la mente ben concentrata sulla ricerca del percorso migliore.













Scendiamo giù per un facile speroncino di roccette e poi, all aprima neve. Calziamo gli sci; dopo pochi metri, sotto il sottile strato di neve fresca le lamine si trovano a mordere dell’infido ghiaccio nero. Per fortuna il tratto è breve anche se ripido e, con tecniche diverse, inclusas l'innovativa "scivolata d'anca controllata", riusciamo facilmente a portarci sul pianoro sottostante.















Ancora una breve soste per mangiare qualcosa e poi via giù per quello che si potrebbe definire uno slalom super –super gigante tra crepacci e seracchi enormi. Pendii ripidi il giusto, neve che più bella non si può, un po di trilling per superare derapando un ponte di neve a 45° sospeso su un crepaccio che sembra aspettarci con le sue fauci aperte e finalmente arriviamo al fatidico punto descritto dalla relazione francese.
  




































Ora dobbiamo scegliere quale dei due itinerari seguire, 
quello diretto in mezzo al caos di crepacci e seracchi o tutto a dx, più facile ma comprendente un lungo traverso su pendii ripidi e non completamente scaricati... alla fine esplora di quì esplora di là finiamo all’imbocco di un largo crepaccio disposto nel senso di marcia e coperto di neve, a parte due orribili buchi neri di cui non si vede il fondo. Sembra che il crepaccio, al suo termine, si apra su un bel pendio, fuori dalle difficoltà. Decidiamo di provare questa terza via e così mi faccio calare, sci ai piedi, 
dentro il crepaccio fino a che sbuco dall’altra parte. 










La ns intuizione era corretta: un bellissimo pendio largo ci porterà fuori dalla seraccata senza problemi. Mentre si cala anche Giorgio preparo l’ancoraggio per Assicurare Davide che sarà l’ultimo a scendere. Tutto procede bene e pochi minuti dopo siamo ad osservare dal basso l’immensa seraccata che abbiamo appaena superato.

















Da qui fino al ponte a quota 1900 saranno ancora 1500 metri di discesa indimenticabile su pendii sostenuti e su una neve primaverile da antologia. L’unico problema è la scelta dell’itinerario, ma non perhè ne è difficile l’individuazione, bensì perchè non sappiamo quale sia il più bel valloncello, dosso o pendio tra quelli che continuamente si aprono sotto di noi.


Quando ci leviamo gli sci, sulla stradina che ci riconduce in fondo valle al parcheggio, non ho ancora ripescato, tra i miei ricordi, una discesa più bella di questa; di certo qualcuno dirà che sarà la mia memoria che fa cilecca ma io non credo....